Intanto, per ascoltare bene c’è bisogno di silenzio. Intorno e dentro di te. La relazione, prima della comunicazione prevede la propria predisposizione verso l’altro e il silenzio è lo “strumento” da utilizzare. Noi siamo perché ci relazioniamo con gli altri, dirò di più, esistere è un po’ come essere  riconosciuti da qualcuno. Ma il silenzio può considerarsi relazione? Certamente: Questa è fatta di gesti, di parole, ma soprattutto di pause. Senza l’attesa dell’altro non si concretizza la relazione e il silenzio prepara alla comunicazione e ci apre nuovi pensieri, quindi nuove scoperte. Alla scuola di Socrate si educavano i giovani uditori i quali prima di parlare venivano educati all’esercizio del silenzio, così come il tacere nei monasteri (claustrum), che preparava all’ascolto. Una relazione, si diceva, si fonda su una parola, uno sguardo, un sorriso, uno sfiorarsi e per evitare di rendere tutto questo un frastuono incomprensibile è necessario mediare con una modalità: La pausa, l’ attesa dell’altro, Il silenzio appunto. Heidegger ci ricorda che questo è prima di tutto propedeutico alla comprensione; non ci può essere, infatti, un’autentica compartecipazione, un’autentica reciprocità, senza il silenzio che agevola e sostiene l’apertura dell’altro e verso l’altro. Ora è molto chiaro, Il silenzio, posto alla base di un ascolto attivo e partecipe, non è assenza di parole, ma una pausa che ci “sospende” permettendo il giusto valore dell’incontro. Nella civiltà del rumore il silenzio è l’unico luogo per ascoltare, ascoltarsi e comprendere. Quando siamo in silenzio o nel silenzio, siamo nell’attesa di rispondere, senza questo prima, la risposta non è la nostra ma mediata dalla società e dagli automatismi dei costumi. E’ il grado zero della comunicazione. Paolo Barelli

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